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Una concreta evanescenza | Critica di Romina Guidelli

 
Danzatrice con ventagli

La nuova e ultima produzione di Gerardo Marazzi presenta un’evoluzione importante nella sua interpretazione del tema paesaggio. Uno spostamento dell’attenzione che tiene conto della struttura geometrica, intesa come studio e ordine di ogni singolo elemento che compone il panorama, come di una pelle che delinea l’aspetto tracciando una fisionomia, ma di cui il carattere dell’intero soggetto composto diventa il reale centro di interesse, appagabile solo attraverso l’esperienza di una conoscenza ravvicinata: il viaggio, l’immersione, la scoperta del paesaggio.

Per questo motivo e con questa intenzione Gerardo Marazzi parte per fare visita al Giappone. 

Tornato a casa il contributo della memoria si unisce all’esperienza sensoriale ed emozionale vissuta dall’artista, cosicché ogni nuova tela descrive l’espressione e l’impressione avute al momento dell’incontro con il Giappone. La concentrazione si sposta della costruzione della tela, per una corretta rappresentazione, a quello che è il dato sensibile che l’artista intende evocare.

Marazzi vuole sublimare nell’opera l’essenza del paesaggio.

Le selezionate e accostate cromie che compongono ogni nuova tela interpretano la concreta evanescenza della luce, dei profumi, dei suoni esperiti; il tatto e il contatto con la natura e le genti dei luoghi nei quali si è immerso non come spettatore, ma come parte di un panorama ricco di storia, cultura e tradizione.  Uno scenario rigoglioso e vivace l’ha ac-colto, lasciandogli scoprire i dettagli che regolano l’equilibrio dei soggetti, naturali e artificiali, che convivono in un perfetto paesaggio orientale, composto da elementi rispettati e condizionati dallo stesso uomo che li abita per mantenere presente e pulsante il sentimento con cui ogni luogo, generosamente, si lascia abitare. 

Il Giappone è il sacro tempio della civiltà rimasto negli occhi di Gerardo Marazzi.

Con l’emozione di una nuova passione scoperta, l’artista ora dipinge con l’orgoglio e la nostalgia del collezionista. Da questo sentimento nascono opere ispirate alla terra dei simboli e della bellezza ‘esatta’. Perfeziona la sua capacità di percezione oltre la visione e concede un altro periodo alla sua pittura: il tempo di una trasformazione che lascia spazio alla nitida memoria di pochi particolari certi come un’ossatura, per esplodere poi in un atteggiamento pittorico che sfoca la forma per imprimere nell’opera la presenza di un’essenza sfiorata. Essenza che si rivela nel colore che ammorbidisce la definizione del tratto per restituirlo come un flusso emozionato nato dall’unione di pigmento e segno, dove più controllati per decidere l’orientamento delle parti dipinte o sublimare un orizzonte, dove più liberi per avvicinarsi allo spirito della natura osservata, tutt’altro che caotica, magistralmente orchestrata da una forza sovrannaturale. Un senso del divino che Marazzi vuole tra-passare nei suoi quadri partendo dagli ori e dalle luminose terre dipinti tra lo sfondo e la superficie, come dalle lacche e dalle ‘brillanti’ ceramiche osservate (ereditate da una tradizione buddista che interpreta il manufatto artigianale come prosecuzione di una luce interiore, superiore, che investe l’oggetto di cui si veste l’ambiente) nascono fiammeggianti stratificazioni di colore. Questi pigmenti cangianti si uniscono a blu profondi, verdi intensi e sacri viola, per comporre sfondi pittorici come terre sovrapposte, dai quali emerge in superficie il profilo di una forma definita o solo accennata nell’opera.

Ogni quadro restituisce i frammenti di quanto osservato con l’’occhio sensibile’: oltre il suo aspetto concreto ogni cosa contiene un’energia che appare dominata da potenti forze universali, invisibili eppure innegabilmente presenti. Non è di un dio sovrano che l’artista ci lascia percepire l’esistenza. Non la nega e non la afferma. Ma avverte la presenza di una forza soprannaturale che domina il paesaggio e di quell’energia vuole lasciare traccia.

Così nascono panorami dipinti come rimasti negli stessi occhi commossi che li ricordano, attraverso una liturgia di gesti propri di una pittura dalla ‘Dinamica Evocativa’, ricerca così definita e teorizzata dallo stesso Marazzi già al ritorno dal suo primo viaggio in Oriente (2011): ‘La mia pittura segue il tema: “dinamica evocativa”, fin dall’inizio del mio operare e nasce come percorso “ideale”. Obbliga l’osservatore a leggere come in un racconto le sensazioni dei colori ed i simboli dell’opera: coinvolgendolo e attraendolo all’interno, poiché le immagini evocate sono le stesse che ognuno cela nel profondo cosmo mentale, i simboli. Nelle tele (…) le architetture sono divenute colore e lampi di memoria emotiva. Ha riscoperto quello che il colore è effettivamente nella “natura”, materia che muta. Le tele (…) sono immagini, ricordi, profumi e suoni di un viaggio che sicuramente è stato un ritrovare se stessi”.

 

Romina Guidelli

Esposizione "Giappone - Mille anni di sogni""

Giappone - mille anni di sogni - 2018 Gerardo Marazzi

Gerardo Marazzi

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