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Opere 2011 – 1983 | Critica di Raffaella Rinaldi

 
Opere 2011 - 1983 Gerardo Marazzi Palombi Editori - a cura di Raffaella Rinaldi
Gerardo Marazzi è un artista che ha affrontato la sfida della complessità e ne ha intuito le svariate sfaccettature e le potenzialità estetiche.

Da ormai più di quarant’anni le leggi dell’entropia sono entrate a far parte in modo stabile dell’apparato concettuale della critica artistica, Abraham Moles, ad esempio, alla fine degli anni Cinquanta, aveva scritto in Teoria dell’Informazione e percezione estetica che la poeticità di un testo, consisteva, alla maniera dei formalisti russi, nella sua ambiguità. Pochi anni anni più tardi Rudolph Arnheim, con Entropia e Arte, di fatto ribadiva il medesimo concetto, aggiungendo, che la ricerca dell’entropia costituiva il nucleo della ricerca di molti artisti del ‘900 e che l’esperienza estetica può dipendere da un’attrazione verso la complessità, almeno quanto dall’attrazione opposta, quella verso “il senso dell’ordine”, come Ernst Gombrich ha chiamato, nel suo omonimo testo una precisa e storicamente databile poetica dell’ornamento. Solo ridiscutendo i concetti di “ordine” e di “complessità” è possibile comprendere lo stesso funzionamento della creatività, e capire come l’arte sfugga all’antico e ambivalente sogno di prevederla e imbrigliarla.

Il valore di un’opera d’arte è legittimato dalla persistenza nel tempo di quelle immagini che l’opera riesce a fare proprie. Le opere di Gerardo Marazzi sono un esempio significativo della veridicità di tale assunto. La figurazione si snoda nello spazio, evocando paesaggi che hanno costituito momenti culminanti nella storia dell’arte (in particolare la poetica surrealista della decontestualizzazione dell’immagine). Inserendosi nella dinamica del linguaggio pittorico, l’artista si ritrova ad attraversare quei frammenti di storia dell’arte, che di volta in volta affiorano nei suoi quadri, quasi fossero portati in superficie dall’inconscio più che da una precisa volontà. Nelle sue opere supera i confini angusti dello spirito analitico e si apre alla dialettica degli opposti, senza proporre schemi retorici o antilogie.

Uno degli aspetti più interessanti della sua pittura risiede proprio nelle modalità attraverso cui questa dialettica diviene essa stessa grammatica generatrice di immagini. Nel quadro viene alla luce ciò che è già presente nello spirito dell’artista, cioè quel disegno interno, che Zuccari nel ‘500, con una precisione degna di un cognitivista contemporaneo, definisce “Uno specchio di finissimo cristallo, entro al quale conosce l’intelletto le cose in lui rappresentate”. In alcune opere degli anni ‘80 e ‘90 come “L’Osservatore” o “il Tronco della Sapienza”, il disegno interno viene presentato come un’operazione generalissima di presa di coscienza del mondo e che è a monte di tutte le operazioni “artificiali successive”: disegnare, dipingere e costruire. È una sorta di disposizione generale che l’uomo possiede per dare significato al mondo esterno. Significato e Forma.

L'osservatore, Gerardo Marazzi

L’osservatore, 1985, Olio su tela, cm 100×70

Il tronco della Sapienza, 1984, Olio su tela, cm 60×50

Il disegno interno infatti si estrinseca, si visualizza nel disegno esterno, che ricade sotto le procedure esecutive particolari delle varie tecniche rappresentative. Le immagini mentali, non solo hanno uno status molto chiaro, ma le leggi della loro manipolazione, creazione e modificazione sono le stesse che sovraintendono alla percezione diretta, visiva e retinica del mondo. Esse hanno un’acuità visiva, un effetto prospettico, una densità di dettaglio, una serie di rapporti spaziali e dinamici praticamente indistinguibili da quelle vere e proprie, il che vuol dire che esiste una sola via maestra interiore percorsa sia dalle immagini ottiche che da quelle mentali. “Fare schiava l’immaginazione”, affermano i surrealisti, “anche a costo di arrivare a ciò che si chiama volgarmente felicità, significherebbe derubare se stessi di giustizia suprema. L’immaginazione, da sola, rivela ciò che può essere”.

Attraverso scelte cromatiche altamente suggestive e di grande consapevolezza stilistica e la predilezione accordata a forme sinuose e avvolgenti, Marazzi predispone confini, scansioni, dislocazioni, scorrimenti, dissesti di piani, come grandi tessere di un mosaico enigmatico o frammenti di un’originaria scrittura esoterica. Laddove in alcuni quadri il tumulto delle passioni esplode nell’angosciosa rappresentazione dei suoi personaggi, travolti dalle forze di una natura disumana e impietosa, in altri sembra placarsi nell’immagine di una calma apparente, specchio di una meditata riflessione interiore, che vede, a volte, anche nel dolore una fonte vitale dell’opera. È il dolore, più della nostalgia a determinare le necessità della memoria e del tenere insieme i resti di quello che si è perduto.

Nelle opere del 2009, attraverso frammenti di paesaggi urbani ripetuti come ricorrenti e ossessivi pensieri, l’immaginazione diventa strumento per opporsi alla coscienza di una realtà alla quale si vuole sfuggire, esperienza che si apre a più cosmiche riflessioni, sul destino dell’uomo e sulla relatività del suo pensiero.

La presenza di tracce-indizi simbolici induce a identificare scarti infinitesimi dentro una sorta di griglia, nella quale gli elementi individuanti sono il colore come foma mentale e la luce, manifestazione e purificazione del tempo. E in questa prospettiva anche la memoria e il tempo sono elementi strutturanti la costruzione poetica e visiva. Per l’artista, l’intuizione che nasce dalla crisi dei valori empirici e gnoseologici, diventa fonte di visioni fantastiche e di profondità e abissi inesplorati, la coscienza di una tensione interiore che trascende le labili verità delle apparenze esteriori.

Le 12 tele del 2011, dopo una lunga pausa dall’attività pittorica, sono state realizzate, come un automatismo psichico nel corso di un mese e rappresentano il compendio visivo del suo recente viaggio in Cina. Gli incontri, i paesaggi, le situazioni che gli intrecci del caso hanno offerto allo sguardo e alla comprensione dell’artista, sono altrettanti segni di qualcosa che è accaduto in lui.  Non si viaggia per tornare. L’uomo non può tornare mai allo stesso punto da cui è partito, perché, nel frattempo, lui stesso è cambiato. Nelle tele di “la seduzione del Drago, Cina” è presente uno scatto di registro espressivo del linguaggio, rispetto alla partitura grafica più densa e plastica e alle prospettive spazialmente segnate delle opere precedenti, la felicità complessiva dell’esperienza trova una  diretta trasposizione nella netta predominanza del segno a filo condotto con fluente scioltezza o spezzato in guizzi pulsanti e nell’immagine destrutturata, vicina alla sensibiltà orientale nella sua consistenza aerea o acquatica. All’esperienza esteriore e “turistica”, cioè costruita sugli emblemi scontati e riconoscibili immediatamente, Marazzi, preferisce la “consonanza” emotiva, culturale, ambientale con lo spazio di vita, con la natura, il paesaggio, individuando il giusto equilibrio tra l’oggetto della raffigurazione pittorica e l’intima percezione di un proprio sentimento. Si tratta di una piena adesione emozionale che restituisce l’immagine in una fisicità morbida, espressa soprattutto nei ritmi delle linee curve, nelle ombreggiature dei volumi in cui i dati reali si sciolgono in atmosfere di vellutata sensualità, fluide e palpitanti insieme.Gli scorci d’ambiente, la grande muraglia,i giardini di Suzhou, i villaggi, hanno un che di gioioso nel contrappuntato ricamo grafico delle decorazioni architettoniche, nell’aprirsi in ampi slarghi verticali che testimoniano la piena conquista e la perfetta libertà di modulazione e variazione della composizione prospettica nelle dilatate campiture di sospesa meditazione, adeguate alla percezione orientale dello spazio pittorico.

Crepuscolo su Impression Sanjie Liu (Yangshuo), 2011, Acrilico su tela, cm 100×100

Luna riflessa sul fiume Li(Lijiang), 2011, Acrilico su tela, cm 100×100

Le grandi foglie dei bambù coda di pavone hanno una “carnosità” sensuale inquietante, colte nel loro serrarsi e schiudersi in atmosfere notturne rischiarate da argentei bagliori lunari. Ammirazione fino all’incantamento l’artista prova per per le straordinarie danze dei nastri rossi in cui si esprimono grazia ed abilità individuale, eleganza raffinata nei secoli, gioia del gesto sempre evocativo del più delicato naturalismo, filosofia di vita maturata e trasmessa di generazione in generazione. Nei vasi dalle forme tonde e maternamente sensuali, negli oggetti rituali, l’artista ha cercato la mano e il pensiero dell’uomo, con amore straordinario per ogni traccia d’intelligenza e di poesia capace di trascendere e di trasfigurare la realtà stanca e la ripetitività banale. Come nel “panorama preso a prestito” (jiejing 借景), una delle peculiarità del giardino cinese, cioè uno scenario visibile attraverso aperture (porte e finestre) ricavate tra le mura e i corridoi e i padiglioni, come un dipinto naturale che muta con l’angolo d’osservazione del visitatore.I cinesi ritengono che in questo modo lo spirito si abitui a provare piacere dalle molteplici rispondenze, combinazioni e sorprese che sorgono a ogni istante da situazioni continuamente nuove. L’aggressività se ne trova placata, mentre lo spirito comincia a conoscere la serenità, l’armonia, la gioia, di contemplare le diverse possibiltà. C’è in tutto questo, senza alcun dubbio, un elemento distintivo di civiltà.

Marazzi, con acuta e insieme colta sensibilità d’artista, trova nel viaggio in Cina soprattutto un paesaggio dove nulla del passato è distrutto e sepolto e l’ansioso fluire della nuova civiltà si innesta all’antico, germinando un rinnovato e sociale progredire. Si rafforza in lui un sentimento della cultura come ineliminabile e inesauribile patrimonio permanente che il tempo non scalfisce, in quanto patrimonio di sempre che si rinnova e si esalta ogni volta che si pone l’uomo e la sua originalità al centro dell’attenzione e dei valori esistenziali. S’intravede, sottottraccia, più come idea che come immagine anche l’altra Cina, quella degli stravolgimenti ambientali e della corsa alla modernità e nel gioco del contrasto, la bellezza superstite descritta nelle opere di Marazzi, ha lo stesso struggente fascino della percezione dell’impermanenza buddhista e della “κίνησις” aristotelica. Come afferma il filosofo, nel terzo libro di quegli scritti che sarebbero andati sotto il titolo di Fisica: “Poichè la Natura è il principio del movimeno e del cambiamento e il nostro intinerario si svolge intorno alla natura, non può restare nascosto che cosa il movimento sia”.

Raffaella Rinaldi

Presentazione per OPERE 2011 – 1983


“La mia pittura segue il tema: “dinamica evocativa”, fin dall’inizio del mio operare e nasce come percorso “ideale”. Obbliga l’osservatore a leggere come in un racconto le sensazioni dei colori ed i simboli dell’opera: coinvolgendolo e attraendolo all’interno, poiché le immagini evocate sono le stesse che ognuno cela nel profondo cosmo mentale, i simboli.
Il dinamismo delle opere crea continui capovolgimenti dei piani prospettici d’osservazione, diminuendo ed aumentando la tensione psicologica: che in talune tele, sfocia nell’ansia esasperata; in altre, le forze contrapposte e bilanciate si misurano in un “divenire” sensuale ed etereo, un equilibrio che porta alla tranquillità. La lettura del quotidiano attraverso il filtro, non del sogno, ma dell’immaginario, porta una notevole liricità alle mie opere, sicuramente più difficili da comprendere quelle datate fino al 2009.
Alcuni barocchismi del tutto spontanei conducono ad un immaginario che dissocia dagli altri “ismi” largamente riconosciuti, anzi le citazioni evidenti in talune tele sono più mentali che pittoriche. La ricerca è il colore, che diventa forma, tensione, figure, spazi, architetture ma soprattutto sentimento, sfruttando la grande potenzialità emotiva della luce. Il dipingere è un’operazione artificiosa all’origine. Imprimere sopra un pezzo di stoffa “tesa” un qualcosa che è creato dall’espressione di un pensiero è totalmente impossibile nell’immediato; l’immagine di esso (l’idea) si evolve dinamicamente assumendo connotazioni differenti ad ogni istante. Per tanto il quadro dipinto non è altro che la parte di un discorso più ampio, un fotogramma con le proprie connotazioni ed il suo divenire, così l’opera può essere letta in una molteplicità globale. La stessa luce in cui si colloca il quadro cambia la sensazione della percezione.
Nelle tele di “la seduzione del drago, Cina” le architetture sono divenute colore e lampi di memoria emotiva. Ha riscoperto quello che il colore è effettivamente nella “natura”, materia che muta.
Dipinti di getto in poco più di un mese, alle 12 tele ha associato, nel realizzarle, immagini, ricordi, profumi e suoni di un viaggio che sicuramente è stato un ritrovare se stessi.”


Gerardo Marazzi

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