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Oniro | Critica di Romina Guidelli

 
Celeste Impero Gerardo Marazzi

ὄνειρος ONIRO

Ad ogni battito di ciglia

“Là, dove il mondo cessa di essere teatro di speranze, desideri e volontà personali; dove affrontiamo il mondo, contemplandolo, ammirandolo, indagandolo, come creature libere; là noi entriamo nel dominio dell’arte e della scienza. Se ciò che è contemplato ed esperito si configura con il linguaggio della logica, pratichiamo la scienza; se è mediato da forme i cui nessi sono inaccessibili al pensiero cosciente, anche se riconosciuti intuitivamente come significativi, noi pratichiamo l’arte. Le accomuna l’amorevole devozione al superamento di ciò che è personale e al distacco dalla volontà”. Albert Einstein

Esiste un certo modo di guardare, quello che supera ciò che appare per concentrarsi semplicemente su quello che è.
Procedimento complesso se parafrasato dalle parole, ma in realtà esso non è altro che la prima risposta offerta dall’intuito, sintesi delle esperienze e delle sensibilità personali: la comprensione delle cose così come avviene al primo sguardo, empiricamente riconosciuta come impressione a colpo d’occhio.
Marazzi sceglie che questo è il suo modo di guardare e su questo concentra la sua ricerca stilistica, oltre che concettuale, rivolta alla pittura del paesaggio. Elabora una tecnica che gli permette di rappresentare sulla tela, attraverso un’esecuzione realistico-simbolica geometricamente controllata, gli elementi significanti contenuti all’interno dell’immagine paesaggio. Allora, il profilo di una forma che appare all’orizzonte, osservato e poi registrato sulla tela, sembra assolvere il compito di disegnare, più che l’aspetto, i fattori che l’hanno determinato e che oggi lo restituiscono all’occhio come tale. Le fisionomie dei paesaggi di questo artista, infatti, si costruiscono per merito dell’attenzione rivolta all’incidere dei fenomeni ambientali e di quelli umani su medesimo corpo, tanto che la restituzione pittorica del panorama appare come una sintesi di naturale e artificiale capace di disegnare come e cosa abita l’uomo.
Una tecnica di ri-costruzione estetica che subisce il fascino delle sfumature “vive”: le mutevolezze; esse offrono continua scoperta dal-del vero per l’artista e suscitano la curiosità che muove la creatività verso ogni possibile interpretazione.
In questo doppio processo di analisi e fantasia, coincidenti nell’opera di Marazzi, il colore ha un ruolo fondamentale perché unificante: il pigmento costruisce le linee guida di un taglio prospettico orizzontale definito e familiare e, al contempo, assolve il compito di evocare lo spirito dell’aria che tira. Infatti, lo schema di costruzione dell’immagine scompare in un pulviscolo di nebbia leggera e sulla superficie di ogni tela rimane impresso il colore-calore del respiro dei luoghi.
I paesaggi di Marazzi, sono luoghi visitati, registrati, studiati, respirati, familiari; mai persi. Conservati negli occhi e impressi nella memoria attiva, vivaci come apparsi al primo sguardo.
L’artista li dipinge con la cura di chi si rivolge a un ritratto che non subisce la nostalgia luttuosa di un ricordo, descrive il divenire dei luoghi in un’armonia di linee spezzate e curve; come l’umore, come la variabilità, come il tempo.
Oltre all’effettiva presa di co(no)scienza, quello che s’introduce e contraddistingue il suo linguaggio, quindi, è la manifesta considerazione dei soggetti- luoghi come organismi naturali in continua metamorfosi. Ogni lieve o grave modifica è permessa dall’aria che carezza i simboli forti impressi nei pigmenti e nei profili dove architettonici, dove naturali, sempre immediatamente identificabili anche se eccezionalmente sensibili alla rivoluzione del tempo. Essi sono l’ossatura che non permette dubbio sulla paternità. Partendo da questa profondità fino alla superficie, la pittura avanza su piani sovrapposti: dall’esatta costruzione dell’anatomia del luogo fino all’epidermide esposta al vento, terra su cui l’artista avanza e registra gli umori del luogo che mutano durante ogni singolo giorno, quindi, ineluttabilmente l’esperienza che forma il carattere.
Con questa naturalezza, Marazzi ci introduce nel suo discorso in maniera diretta e inequivocabile. Nel momento stesso in cui lo sguardo si apre sull’opera, quello che appare è la bellezza del patrimonio collettivo: i luoghi che ci appartengono anche se solo sfiorati, perché ci rappresentano. Essi sono la nostra storia. La meraviglia del Creato, fatalmente nostra; mutevole perché viva.
Davanti all’opera si apprezza il lusso di poter guardare, prima della volontà o del desiderio di abitare.
La possibilità offerta dall’arte è quella di godere d’ogni luogo tra la verità e visione, con un coinvolgimento fisico e sensoriale che ad ogni battito di
ciglia, concede un sogno e merita rispetto.

Romina Guidelli

 

Esposizione "Oniro"

Gerardo Marazzi

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